Qualche giorno fa, ascoltando la TV ho sentito una bella notizia. Sì, in sé per sé una bella notizia ma con un implicito aberrante!

Si diceva che l'occupazione, come negli anni '70, aveva raggiunto la notevole soglia del 60%. In effetti è un'ottima notizia, visto e considerato che erano anni che non si raggiungeva un tale traguardo! Dagli anni '70.

L'aberrazione è che siamo sempre più superficiali e ci fermiamo all'apparenza di quelle parole. "L'occupazione è al 60%". Non ci soffermiamo sull'implicito, sul non detto. SE L'OCCUPAZIONE È AL 60% LA DISOCCUPAZIONE È AL 40%.

Ci rendiamo conto?

Abbiamo la disoccupazione al 40% e ne siamo entusiasti! FANTASTICO!

Ma quale paese si può definire civile con una disoccupazione di questo calibro?

Permettetemi di rivolgere un appello.

Visto che siamo prossimi alle elezioni, il mio appello è: egregi politici, di qualsiasi schieramento, cominciate a pensare, a pensare veramente ai bisogni reali della gente, di questo popolo, popolo sulla pelle del quale avete campato e speculato per i vostri interessi personali ed esclusivi.

Egregi politici ricordatevi che voi siete al servizio della gente e non il contrario che la gente serva per arricchire voi.

La mia indignazione non si ferma e, facendo seguito al precedente articolo "Segnali d'Italia" e anche a "Il Proprio Dovere" rilancio con rammarico l'ennesima critica a questo Paese. Quale Stato? Quale Giustizia?

I questi ultimi giorni ho sentito le notizie del processo per la "Strage di Viareggio". Non so dove stianno le responsabilità, non sono così informato della tragedia da poter dire chi è responsabile, chi ha torto o chi ha ragione. Non è questo il mio punto.

Ancora una volta rimango sconcertato di come sia stata gestita la vicenda giudiziaria.

Dal sito dell'Associazione, leggo che il processo è iniziato 65 mesi dopo la tragedia. Sessantacinque mesi dopo! Non solo, alle soglie del 2021, lasciamo le prescrizioni che nel frattempo sono intervenute, ancora non c'è una sentenza? Stiamo scherzando?

È questo lo Stato che ci dovrebbe tutelare? È questo lo Stato a cui dovrei appartenere? È questa la giustizia alla quale dovrei credere?

Io non mi ci riconosco!

 

Nessun segnale d'Italia.

Oggi ho visto un cartellone pubblicitario; c'era scritto:

"Segnali d'Italia, diamo spazio alla fiducia".

Lì per lì ho pensato ad una campagna pubblicitaria istituzionale, ma non è così.

Il cartellone mi ha comunque fatto pensare al mio Paese, a come potrebbe essere molto meglio se governato decentemente. Attenzione non ho scritto governato bene, appena decentemente.

Non ricordo quanti governi ho visto passare, a quanti ho dato fiducia, ma so che a distanza di oltre 30 anni i problemi italiani sono ancora sempre gli stessi.

Il problema non è la fiducia. Tutti abbiamo votato e sperato, soprattutto sperato, anche cambiando diverse volte diversi partiti, che le cose cambiassero ma, eccoci ancora qui, nella stessa identica situazione di 30 anni fa, il che, per un mondo che corre, è come correre a piedi contro una Ferrari. Siamo maledettamente indietro e paurosamente arretrati, anche mentalmente e di cultura, in ritardo su tutto e rispetto a tutti.

Oggi hanno anche inaugurato il nuovo ponte di Genova, concepito, progettato e realizzato in poco più di 700 giorni. Dovrebbe essere la norma e invece è l'eccezione. Tra le interviste del servizio del TG2 delle 20:30 mi hanno fatto male quella di Mattarella e quella del Procuratore dell'inchiesta; entrambe parlavano di accertare le responsabilità. A 700 giorni dal fatto devono ancora accertare le responsabilità? In oltre il Procuratore ha evidenziato che il reato si prescriverà in 15 anni. Signori ma già stiamo prendendo in considerazione la prescrizione tra 15 anni? Ma stiamo scherzando?

Ma che stato è questo? Che giustizia è questa?

Trent'anni fa non avrei mai pensato di sentire una notizia su dei carabinieri malavitosi e spacciatori, trent'anni fa avrei sperato che il caso di Ustica o la strage della Stazione di Bologna sarebbero state punite.

In tutto questo non vedo nessun segnale d'Italia, quell'Italia che vorrei fosse e non l'Italia che è.

 

 

Non ci rispettiamo, siamo degli individualisti e dei menefreghisti e non ci rispettiamo. Tantomeno rispettiamo gli altri. Infrangiamo tutte le regole di comportamento e di comune convivenza e molto spesso anche le leggi. Parliamo male degli altri ma non guardiamo e scusiamo con molta facilità le nostre malefatte quotidiane. Pretendiamo favoritismi, eccezioni e deroghe che non concediamo agli altri pretendendo che rispettino ciò che noi, per primi, non rispettiamo.

Siamo diventati un popolo strano.

Ci facciamo belli criticando aspramente in compagnia le pecche altrui mentre violiamo le più semplici norme di civile convivenza.

Siamo degli incivili.

Sarebbe ora che, tutti noi, guardassimo prima a ciò che noi facciamo, prima di pretendere che gli altri lo facciano.

Regole e leggi sono norme di civile convivenza. Quando noi cominceremo a rispettarle potremo pretendere che gli altri le rispettino. Non rispettandole, non ci rispettiamo.

Raccomandazione. È una parola che per noi italiani è molto comune. È all'ordine del giorno. In tutti gli ambiti, pervade tutto il nostro quotidiano, ma è particolarmente forte e presente nell'ambito del lavoro.

La raccomandazione è consuetudine. È sistema. Tocca tutto e tutti.

Proviamo a vedere quali sono gli effetti delle raccomandazioni sul nostro Paese, sulla nostra società e sulla nostra economia.

Nella maggioranza dei casi c'è un prezzo da pagare. In primo luogo, la raccomandazione è la restituzione di un favore, oppure l'anticipazione della richiesta di una contropartita. Il secondo prezzo da pagare è che molto spesso, per raccomandazione, non è detto che si ottenga la migliore o il miglior candidato o un miglior servizio o merce, anzi, spesso avviene l'esatto contrario. Spesso chi si fa raccomandare non è in grado di competere nel suo ambito, è di livello inferiore alla media, come capacità e competenza o qualità per cui si deve fare raccomandare. Ne consegue che il livello generale dell'offerta, qualsiasi essa sia, lavoro, professionalità, servizio o merce, si abbassa sempre di più, tanto non serve essere bravi, si è raccomandati. Ciò, innesca una spirale sociale degradante e, questa spirale, negli anni, ha portato il nostro Paese ad abbassare il proprio livello di capacità e di competenza in tutti i settori.

Un altro prezzo da pagare è che non è detto che i più bravi e meritevoli riescano a collocarsi, da qui la fuga dei cervelli. Molte aziende si spartiscono commesse e appalti perché raccomandate e non per meriti, mentre quelle che avrebbero avuto titolo falliscono.

Riepilogando, meno persone preparate e capaci, meno aziende di spessore e un impoverimento del nostro Paese, della nostra società e della nostra economia. Più mediocrità. Il prezzo lo paghiamo noi tutti. Ne vale la pena?

 

Sono appena finiti Gli Stati Generali. Diversi annunci si stanno susseguendo. Chi è favorevole, chi contrario, chi dubbioso chi strumentalizza. Non ha importanza la fazione politica. Non importa più se è destra, sinistra o centro. Quello che importa è che si faccia qualcosa. È una questione di sopravvivenza. Questo Paese è rimasto per troppo tempo indietro adagiandosi sugli allori del Miracolo Italiano. È un paese vecchio, farraginoso. Abbiamo accumulato talmente tanto ritardo che ci vorranno anni se non generazioni per recuperare il divario che abbiamo creato.

Eravamo il Paese della piccola impresa e l'abbiamo uccisa, degli artigiani e li abbiamo fatti chiudere, il tutto per agevolare le grosse aziende. Nulla contro di loro, bastava non bruciare il nostro tessuto imprenditoriale di piccole realtà.

Oltre alla concorrenza, le imprese si devono battere anche contro uno stato. Uno stato che avversa le imprese, non le agevola, le ricatta con tasse da strozzini, uno stato che non paga le aziende fornitrici, le ostacola con una valanga di burocrazia, le taglieggia con leggi fumose e anacronistiche; un esempio, basta scaricare il Codice della Privacy italiano, un guazzabuglio. L'Europa ha emesso il GDPR, 99 articoli che filano lisci, organizzati, chiari, commentati. Noi, dovevamo solo fare il copia incolla del GDPR. Abrogare tutte le vecchie e precedenti leggi che venivano superate o inglobate e promulgare la nuova. Invece abbiamo una legge che, come al solito, riesce a complicare tutto, con richiami, rinvii, abrogazioni, eccetera. E questo è solo uno dei tanti esempi. Abbiamo ancora in vigore dei Regi Decreti!

Perché? A chi giova? Chi ne trae beneficio?

Non si può non pensare che la cosa non sia voluta, altrimenti verrebbe da pensare che i legislatori sono tutti diventati degli incapaci.

L'Italia, il popolo, il sistema produttivo, i lavoratori, le imprese e i professionisti, noi tutti abbiamo bisogno di semplificare questo Paese tanto complicato e difficile.

È ora! Non è più possibile rinviare! Siamo agli sgoccioli!

Il futuro deve essere agile, snello, rapido e veloce, altrimenti restiamo al palo. Il futuro può essere azzurro se ci svegliamo e cambiamo le cose o nero se perseveriamo e ci adagiamo sul passato o facciamo le cose a dispetto del popolo per agevolare qualche amico particolare.

L'interesse principale deve essere per il popolo non un interesse personale.

 

Forse questo è il momento giusto per fare una riflessione. Si, in questo momento così importante e delicato dal futuro incerto.

Già era difficile avere una prospettiva prima, ora, dopo quanto sta succedendo, è ancora più difficile guardare al prossimo futuro serenamente.

Se ciascuno di noi facesse, non dico il proprio dovere, ma almeno un po' di più di quanto normalmente fa. Se ciascuno di noi facesse un po' di autocritica e si guardasse allo specchio con giusto senso critico ed obiettività, forse le cose qui in Italia andrebbero già meglio. Se ciascuno di noi pensasse che può fare meglio di quanto sta facendo e smettesse di autocommiserarsi, giustificarsi e paragonarsi a chi fa peggio anziché prendere d'esempio chi fa meglio, forse il paese comincerebbe a rialzare la testa.

In questi giorni difficili si sente spesso delle forze dell'ordine che fanno cose straordinarie e dei medici e infermieri che lavorano senza tregua e rischiano il contagio. Sì, a loro va il mio ed il nostro ringraziamento ma non perché facciano cose straordinarie ma perché fanno il loro dovere.

Fare il proprio dovere non dev'essere una cosa straordinaria. Fare il proprio dovere dev'essere una cosa normale.

Si, l'Italia va a rotoli!

Con l'arrivo di COVID-19 non è successo altro che l'accelerazione di un andamento che viene da lontano. Il trend non è recente ma è il risultato di un lento ed inesorabile declino di quello che un tempo era un grande paese. Per tutti questi anni ci siamo lodati su quello che gradualmente sono diventate le ceneri dell'Italia, quell'Italia della rivoluzione industriale del dopoguerra. Non ci siamo accorti, in tutti questi anni, che, mentre noi eravamo fermi al quanto siamo bravi, quanto siamo fighi, gli altri andavano avanti a spron battuto, copiando e migliorando quello che era il miracolo italiano, fino al punto da lasciare persa indietro, molto distante, quella povera Italia illusa.

Ieri, andando al lavoro come al solito, a metà delle scale mobili della stazione del treno di Acilia, io e Gabriela, la mia compagna, abbiamo incontrato Valentina, una mia collega d'ufficio.

C'era una folla insolita in tutta la stazione; gente nell'androne, gente che scendeva, gente che saliva, decisamente insolito, ma arrivati giù alla banchina, abbiamo capito il perché di tanto trambusto. Il treno presente era guasto. Può capitare ma il colmo è stato che era lo stesso treno in servizio la sera prima, con a bordo sia Gabriela che Valentina che avevano pregato per tutto il tragitto che il treno, con molta difficoltà, ce la facesse a portarle a destinazione fino ad Acilia, appunto.

La domanda è; ma come si fa a mettere in servizio un convoglio che già il giorno prima aveva evidenti segni di malfunzionamento e soprattutto in orario di punta. Forse quei passeggeri erano già predestinati? Roba da terzo mondo!